Il termine MODY è l’acronimo dall’inglese di Maturity Onset Diabetes of the Young e definisce una forma rara di diabete (1-2% dei diabetici), non autoimmune, caratterizzata da una iperglicemia familiare con un’eredità autosomica dominante (carattere geneticamente trasmissibile.
Ciò significa che la patologia si trasmette facilmente da una generazione all’altra, senza preferenza di trasmissione da padre a madre, senza distinzioni di sesso nella prole). È causata da una mutazione di un punto o di una sequenza di un singolo gene, importanti per lo sviluppo o la funzionalità della ß-cellula pancreatica, con conseguente alterazione della secrezione di insulina.
Quando e come si manifesta il diabete MODY?
Considerando il fatto che il diabete MODY, a differenza del diabete di tipo 2, ha un esordio precoce (in genere prima del 25° anno di età), è possibile di solito costruire con facilità un albero genealogico. Se si accerta che il diabete si “trasmette” direttamente da una generazione all’altra, per tre generazioni di seguito, allora si può parlare di ereditarietà autosomica dominante
Il diabete MODY è causato direttamente dalla mutazione di un singolo gene (diabete monogenico) e tutti i figli di una persona che ne soffre hanno il 50% di probabilità di ereditare questo gene e di conseguenza di manifestare a loro volta il diabete MODY.
Diagnosi del Diabete MODY
I criteri clinici per formulare la diagnosi di diabete MODY sono i seguenti sebbene esistano poi situazioni particolari che possono sfuggire a questi criteri:
- età di insorgenza inferiore ai 25 anni;
- controllo metabolico senza necessità di insulina per oltre 2 anni dall’esordio;
- ereditarietà autosomica dominante (almeno 3 generazioni di soggetti affetti da diabete nell’albero genealogico familiare);
- assenza di autoimmunità.
Le tecniche di biologia molecolare oggi disponibili consentono di diagnosticare questa forma di diabete attraverso test genetici specifici. Al momento, la diagnosi genetica del MODY non viene fatta di routine e viene effettuata solo nei casi dubbi o in caso di genitori portatori della mutazione genica o per motivi di ricerca nei laboratori specializzati. Le mutazioni vengono rintracciate preferenzialmente in soggetti in età pediatrica. Tuttavia nell’ambito della stessa famiglia è possibile rilevare la mutazione del gene MODY anche in individui di età più matura.
Spesso, il riscontro di iperglicemia è del tutto casuale (così come avviene per il diabete 2) e può avvenire durante un check-up di routine o per un controllo in seguito a una forte familiarità per diabete. Pertanto è possibile che il diabete MODY possa rimanere in forma silente (cioè senza dare sintomi apparenti) fino all’età adulta e non essere mai scoperto.
Può anche capitare che persone identificate inizialmente come diabetici di Tipo 2 siano in realtà soggetti con diabete MODY: questo può accadere quando il medico curante non è a conoscenza dell’elevata familiarità per diabete, o non dà troppo peso alla presenza di una ridotta tolleranza al glucosio (IGT) o di valori glicemici da prediabete con un’eredità autosomica dominante.
Anche in questi casi, una più accurata analisi della storia familiare e dell’evoluzione del diabete da parte del medico e la parallela conferma, tramite esame genetico, saranno in grado di correggere un’iniziale errore di classificazione.
In alcune persone potrebbe verificarsi una rapida progressione dei sintomi che può rendere repentina la necessità di un trattamento a base di ipoglicemizzanti orali o addirittura di insulina.
Tipi di diabete MODY
Ad oggi sono state classificate 6 forme di diabete MODY, denominate dall’1 al 6; le due principali (75-90% dei casi), diverse tra loro, sono il MODY 2 e il MODY 3. Una settima forma, piuttosto rara, attende conferma dai ricercatori. Tutte le forme sono causate da mutazioni di geni localizzati su differenti cromosomi che vengono espressi tutti nelle cellule beta del pancreas, che subiscono pertanto un’alterazione funzionale.
Questi geni vengono espressi anche in altri tessuti, come fegato e rene, per esempio, ecco perché in alcune forme di diabete MODY si possono manifestare anche alterazioni nella funzione epatica e renale.
Il diabete MODY 2
È associato a un difetto dell’enzima glucochinasi (che aiuta l’organismo a riconoscere i livelli di zucchero nel sangue), e può riscontrarsi tra i bambini (intorno ai 6 anni) e le donne con un diabete gestazionale(GDM). Questo tipo di diabete può essere difficile da diagnosticare e i sintomi possono essere particolarmente lenti nel manifestarsi. É stato descritto in persone di tutte le razze e gruppi etnici.
In generale, chi è affetto da diabete MODY 2 non è in sovrappeso/obeso e ha una leggera iperglicemia a digiuno (110-140 mg/dl), che può essere presente sin dalla nascita, e normale o ridotta tolleranza al glucosio al carico orale.
I soggetti che soffrono di MODY 2 vengono controllati con la dieta e l’attività fisica e solo raramente necessitano di ipoglicemizzanti orali o insulina. Le complicanze sono molto rare probabilmente perché i valori delle iperglicemie non sono mai così alti da determinare seri danni all’organismo anche nel lungo periodo.
Il diabete MODY 3
La forma più frequente tra i MODY (70%) è associato a un difetto della secrezione di insulina (sia in risposta al glucosio che all’arginina) dovuta al deficit del fattore HNF-1a (dall’inglese Hepatocit Nuclear Factor-1a o Fattore nucleare epatocitario 1 alfa).
Le persone con diabete MODY-3 possono presentare anche un danno nella secrezione del glucagone in risposta all’arginina. Ciò significa che esiste un’alterazione sia a livello delle cellule pancreatiche beta (dove viene prodotta l’insulina) sia a livello di quelle alfa, responsabili della produzione del glucagone.
La diagnosi clinica per diabete MODY 3 in genere viene fatta durante o subito dopo l’adolescenza (>25 anni) e la maggior parte dei soggetti mostra poliuria (aumento dell’urina emessa in una giornata) e polidipsia (sete intensa). Un’alta frequenza di sintomi osmotici all’esordio potrebbe essere accentuata dal ridotto assorbimento del glucosio a livello renale. Solo in pochi casi non ci sono evidenti alterazioni della glicemia a digiuno e neppure manifestazioni di diabete che tenderà a manifestarsi negli anni a venire.
Il diabete MODY 3/HNF
Viene considerato più grave del diabete MODY 2, in quanto può esordire in chetoacidosi, con la necessità immediata almeno nel 30-40% dei casi di trattamento insulinico. Nei soggetti con mutazioni MODY 3, inoltre, la glicemia tende ad aumentare col il passare del tempo e possono presentarsi complicanze diabetiche (senza arrivare ai livelli del diabete tipo 2), soprattutto quelle microvascolari alla retina e ai reni, in rapporto alla durata e al grado di controllo della glicemiadella singola persona diabetica.
Accade spesso che alcuni soggetti con diabete MODY 3 possano essere diagnosticati per errore tra i diabetici di Tipo 1perché necessitano sin dall’inizio di trattamento con insulina e perché vengono diagnosticati in giovane età. Ciò fa ritenere agli esperti che almeno l’1-2% dei pazienti diabetici diagnosticati come Tipo 1 sia in realtà del tipo MODY 3.
Tra le altre forme ancora più rare di diabete MODY (2-3% dei casi) vi sono:
- HNF4-alfa: una forma rarissima spesso diagnosticata in una fase tardiva;
- HNF1-beta: un tipo di MODY associato a cisti renali;
- PFX1 e IPF1 sono forme al momento riscontrate in pochissimi casi in tutto il mondo.
- NeuroD1 è un’altra forma rarissima che è ancora in via di definizione.
Tutti i difetti genetici alla base del MODY compromettono la secrezione di insulina, con differente intensità in relazione al tipo di difetto genetico, senza alterazione dell’azione dell’insulina.
Dove si studia il diabete MODY in Italia e in Europa?
In Italia ci sono tre importanti studi di ricerca di screening genetico sul MODY.
Uno è condotto dalla dott.ssa Massa, presso i laboratori del Policlinico di Tor Vergata a Roma, in collaborazione con il dott. Barbetti.
Il secondo studio di screening genetico in Italia è condotto dalla dott.ssa Mantovani presso il policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Tale studio afferma che le nuove mutazioni individuate nei soggetti valutati determinano iperglicemia in tutti i membri della famiglia portatori della mutazione.
Il terzo studio è in corso nella Struttura Complessa di Diabetologia, Dipartimento Internistico, dell’Azienda Ospedaliera Brotzu in collaborazione con il Laboratorio Centrale di Analisi dell’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari.
Il Dott. Marco Songini, primario della Struttura Complessa di Diabetologia, Dipartimento Internistico, è il coordinatore del progetto.
Questo studio si propone un’analisi dettagliata dei soggetti diabetici e delle loro famiglie che presentano le caratteristiche generali di MODY. Tutti i familiari, e in particolare quelli che presentano diabete (glicemia >125 mg/dl) saranno studiati in modo approfondito da un punto di vista genetico (ma anche da quello immunologico e metabolico) in modo da confermare la trasmissione ad eredità autosomica dominante del gene della malattia MODY.
Uno studio del genere non è mai stato condotto in Sardegna, e quindi sarà interessante esaminare il comportamento della popolazione sarda per quanto riguarda la presenza di mutazioni MODY, considerando che per caratteristiche di territorio, la popolazione sarda presenta un assetto genetico differente dal resto delle altre popolazioni.
La diagnosi precoce di MODY permette una migliore scelta terapeutica per la persona diabetica che ne è affetta.
Diversi studi sono stati condotti anche nel Regno Unito; tra questi, uno afferma che il riconoscimento delle mutazioni genetiche per il diabete MODY può essere d’aiuto nel predire la malattia diabetica e quindi anche nel migliorare e/o adeguare il trattamento clinico. Un altro studio ha affermato che su 212 pazienti sospettati di MODY, il 34% presentava la mutazione.
Gli autori suggeriscono, pertanto, che sia necessario fare lo screening genetico nelle famiglie dove si abbia una diagnosi incerta di diabete.
In ogni caso tutti gli studi citati affermano che lo screening genetico rappresenta un vantaggio per i familiari non affetti o a rischio come forma di prevenzione attiva.